New York.
Città ideale per ambientare uno dei migliori gangster-movie degli ultimi anni.
Diretto nel 2006 da Paul McGuigan, Lucky Number Slevin è un film coinvolgente e surreale, l'incredibile storia di una vendetta a lungo premeditata, ma raccontata in modo ironico ed enigmatico con un susseguirsi di scene fumettistiche, riferimenti tarantiniani, flash back sfumati e situazioni al limite dell'assurdo tanto da coinvolgere lo spettatore fino alla rivelazione finale inaspettata.
Un'incredibile favola noir, per certi versi romantica e giocosa, stilisticamente elegante, con una fortissima attenzione ai dettagli: la destrutturazione narrativa spaziante ed enigmatica, la caratterizzazione dei personaggi politicamente scorretti e ironicamente grotteschi, le ambientazioni oniriche, quasi a voler volutamente rendere la storia adatta ad ogni luogo e ad ogni tempo.
La stessa attenzione ai dettagli la ritroviamo nelle scenografie di François Seguin che sembrano interpretare perfettamente la dualità di generi caratterizzante il film: l'ironia e lo scherzo della commedia insieme alla violenza e la tensione del thriller.
Due, le locations principali: gli appartamenti del protagonista e della "ragazza della porta accanto" all'interno di un classico palazzo newyorkese di inizio secolo adornato dalle immancabili scale antincendio in facciata; gli attici dei due boss malavitosi situati in due grattacieli gemelli dalla caratteristica architettura modello "ziggurat" degli anni'30 con mattoni faccia vista.
Il risultato è il trionfo della decorazione e dell'uso del colore.
L'appartamento dell'"ignaro" protagonista Slevin è dominato dal nero lucido: il corridoio total black illuminato da faretti alogeni a vista su monolitici supporti lignei; il pavimento in legno verniciato; gli stipiti delle porte; la cucina in stile nautico con pomelli in ottone; fino all'incredibile carta da parati della camera da letto caratterizzata da grossi scacchi neri e specchiati, l'alcova del vero single anni'70.
Quello che salta più agli occhi è però l'incredibile accostamento della "toile de jouy" color carta da zucchero del disimpegno con le maioliche portoghesi a grossi ottagoni floreali su fondo nero della cucina adiacente.
Il tutto volutamente stridente con la favolosa carta da parati a fioroni giallo-beige e azzurrino su fondo di foglie verdi della zona soggiorno (un trionfo anni'70) direttamente collegata alla cucina, con il grande divano in pelle nera invecchiata e una quantità di quadri e grosse stampe appoggiate ai muri nell'attesa di essere un giorno appesi.
Le stesse caratteristiche vengono riproposte nell'appartamento della "ragazza della porta accanto" (un'eccezionale Lucy Liu in veste sbarazzina) dove il colore d'entrata è questa volta un accecante rosso vivo.
In questo caso gli accostamenti non sono più stridenti, ma delicati e graduali quasi a delineare al meglio la femminilità della padrona di casa.
Dal rosso acceso dell'entrata e della zona cottura si passa ad un delicato verde acqua-celeste della zona giorno con grandi divani in tessuto azzurro chiaro disseminati di cuscini rossi e marroncini, per passare infine a tutti i toni del marrone nella camera da letto direttamente collegata.
I decori delle tappezzerie sono ancora i grandi fiori anni'70 e i grossi disegni geometrici sinuosi che rendono i due appartamenti surreali e giocosi proprio come la storia che in essi si svolge.
Merita una piccola citazione l'appartamento della ex-fidanzata del protagonista descritto in uno dei suoi flash back: un tripudio di bianco e nero, negli arredi, nell'oggettistica, nei tessuti, nelle tappezzerie: righe orizzontali e verticali accostate a decorazioni geometriche e floreali baroccheggianti al limite della sopportazione visiva ad evidenziare in maniera volutamente esagerata l'atmosfera surreale del racconto.
Totalmente differenti da questa decorazione fantasiosa, si presentano invece i due attici dei cattivissimi boss.
La scena si svolge quasi esclusivamente nello studio: il luogo principe della gestione degli affari, anche quelli "sporchi".
Nei due casi, quello che appare è eleganza e lusso smisurati, ma non ostentati in maniera volgare: il mogano e il marmo bianco e nero per lo studio del "Boss"; l'ottone e il plexiglass per lo studio del "Rabbino" con richiami wrightiani negli arredi e nelle geometrie metalliche.
Curioso è inoltre l'utilizzo di pareti vetrate in entrambi gli studi a definire i diversi ambienti: nel primo caso pareti a grossi scacchi in vetro smerigliato nei colori ambra e arancio ad accordarsi perfettamente al mogano delle pareti intarsiate e dei mobili; nel secondo caso pareti vetrate a decoro geometrico giallo paglierino, blu e mattone quasi a ricordare meravigliose vetrate di una chiesa contemporanea (non a caso il secondo boss è un vero e proprio rabbino).
Due ambientazioni, due stili differenti, due generi cinematografici: gli anni'70 e la commedia; gli anni'30 e il gangster-movie.
2 commenti:
bel post, anche io quando guardo i film mi soffermo molto sulle ambientazioni e gli arredi... l'ultimo film che mi ha colpita in tal senso è stato Chloe
grazie, mille!!! Lo devo ancora vedere Chloe, ma ce l'ho, devo solo trovare il tempo... Che ne dici dell'arredamento dello studio dell'avvocato maniaco di Secretary? Splendido, ci scriverò uno dei prossimi post.
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